ARRIVANO #NEGOZI E VESTITI “GENDER FREE”

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Dagli storici magazzini londinesi Selfridges alla boutique italiana Pitti fioccano esperimenti di marketing sulla confusione

di Gianfranco Amato

Stanno diventando sempre più insopportabili gli strepiti di coloro che continuano ad urlarci che la teoria gender non esiste. Per capire che mentono sapendo di mentire, basta farsi una girata a Londra, dalle parti di Oxford Street. Negli storici grandi magazzini di lusso Selfridges, infatti, hanno annunciato che si stanno preparando ad aprire uno spazio per lo shopping neutral-gender. Di che si tratta è presto detto. Ridurranno gli spazi dedicati agli ormai desueti reparti uomo e donna, per fare posto a tre piani di moda “gender free”.

Tutto questo per rispondere all’esigenza di chi si percepisce maschio o femmina, indipendentemente dal proprio sesso biologico. Così un uomo che si sente donna non avrà più problemi per acquistare un abito lungo da sera, materiale per il make-up, o scarpe tacco 13 da indossare la sera. Stessa cosa per la signora che si sente “lui”. Rottamati anche i vecchi manichini con fisionomia maschile e femminile, perché oramai simbolo di una differenza sessuale frutto di stereotipi del passato decisamente superati. Un manichino neutro, secondo quelli di Selfridges è in grado di rappresentare meglio la nuova frontiera del “gender free”, nella quale si potranno vedere sfilate di moda interessanti, dove muscolosi ragazzi truccati indosseranno con assoluta disinvoltura gonne, abiti femminili da sera, e tacchi a spillo.

Non è che, in effetti, il mercato manchi. Tra i clienti di Selfridges, per esempio, ci saranno gli studenti e le studentesse (se ancora si possono utilizzare questi stereotipi linguistici) della prestigiosa università di Cambridge, che, ovviamente, si possono permettere quel livello facoltoso di shopping. La stravaganza è sempre stato un lusso non accessibile a tutti i poveri mortali. Non abbiamo citato a caso gli studenti di Cambridge. Rompendo una tradizione centenaria, lo storico Ateneo britannico ha deciso, infatti, di cedere alle pressioni della Cambridge University Students’ Union’s LGBT+, modificando il classico “dress code” per la cerimonia di laure in vigore fino a poco tempo fa: per i maschi abito scuro, camicia bianca, papillon, calze e scarpe rigorosamente nere, mentre per le femmine elegante abito nero e camicia candida. Ora, in virtù del “gender free”, le cose si possono tranquillamente invertire.

Già si sono visti laureare ragazzoni truccati nonostante la barba, con abito lungo e tacchi a spillo, in versione Conchita Wurst, per intenintenderci. Tripudio, ovviamente, di Charlie Bell, presidente dell’associazione studentesca CUSU LGBT+ promotrice dell’iniziativa rivoluzionaria che finalmente ha potuto dimostrare anche negli ambienti paludati dell’Academia Cantabrigiensis come la differenza sessuale maschio/femmina sia in realtà una semplice variabile socio-culturale, e che in base alla teoria – tanto negata quanto dilagante – del “gender”, l’autopercezione di sé deve prevalere sul sesso biologico.

Il delirio unisex nel campo della moda britannica ha del resto già oltrepassato la Manica ed è giunto fino al Bel Paese. Basta leggere l’articolo pubblicato sull’Huffington Post dello scorso 17 giugno intitolato così: “Pitti Uomo 88 presenta il guardaroba “gender free”. Se poi andiamo a sbirciare PianetaDonna, il sito leader indiscusso nel mondo femminile in Italia, la questione si rende ancora più chiara: «Libera da ogni connotazione di genere è la moda che ha sfilato nelle recenti passerelle di Firenze e Milano, dove le collezioni maschili dedicate alla Primavera Estate 2016 erano improntate su uno stile gender free. La moda non ha più confini né tanto meno sesso». Ognuno può pescare il capo di abbigliamento che più gli aggrada, secondo il genere a cui sente di appartenere. E, poi, l’invito commerciale di PianetaDonna: «Neutro, asessuato, genderless, chiamatelo come preferite, ma rendetelo vostro il prima possibile visto che, a quanto pare, sarà la grande tendenza delle prossime stagioni».

Non c’è dubbio che tra poco anche noi potremmo evolverci al punto di assistere con assoluta nonchalance alla cerimonia di laurea di un vigoroso giovanotto bocconiano in stile Conchita, o di trovare del tutto normale un processo penale presieduto da un calvo giudice sessantenne con rossetto e calze a rete. Tutto questo rappresenta il progresso o la decadenza di una civiltà? Non voglio addentrarmi in digressioni troppo complicate. A me pare semplicemente un incubo.


Pubblicato su: "la Croce Quotidiano" del 11 luglio 2015

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