ADOZIONE AD UNA COPPIA DI LESBICHE: LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEI MINORI DI ROMA HA VIOLATO LA LEGGE


 

COMUNICATO STAMPA 26-2014

La sentenza del Tribunale dei Minori di Roma n.299 del 30 agosto 2014 che ha autorizzato la prima adozione ad una coppia di lesbiche segna il passaggio, pericolosamente eversivo, dalla “giurisprudenza creativa” alla “giurisprudenza contra legem”.

Qui non si tratta più di supplire l’asserita inerzia del legislatore, ma di violare espresse e tassative disposizioni di legge.

Nel caso di specie, infatti, i giudici romani hanno infranto la norma chiara e inequivoca dell’art. 44 della legge sull'adozione del 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001, il quale , il quale stabilisce le eccezioni alla regola secondo cui i bambini possono essere adottati solo da un uomo e da una donna uniti in matrimonio.

Il Tribunale dei minorenni ha volutamente ignorato – e quindi violato – la disposizione del citato art. 44 nel punto in cui prevede che la richiesta di adozione possa venire anche da persona non coniugata che è legata al minore da «preesistente rapporto stabile e duraturo», solo quando il minore è orfano sia di padre che di madre, circostanza che nel caso di specie non ricorre (quantomeno per la madre).

Il Tribunale dei minorenni, inoltre, ha violato la disposizione dei cui alla lettera d) del citato art. 44, la quale permette l’adozione «quando vi sia la constatata impossibilità di un affidamento preadottivo». Il raggiro della norma da parte del tribunale è avvenuto sull’assunto che l’«impossibilità» possa intendersi anche come “di diritto”, consentendo, quindi, nel caso concreto di dichiarare “impossibile” l’affidamento preadottivo della bambina perché la legge italiana lo permette solo a coppie coniugate. Ragionamento che cozza, peraltro, con la recente e autorevole giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, tra le cui sentenze merita di essere ricordata quella emessa dalla Prima Sezione il 27 settembre 2013, nella quale veniva confermato senza incertezze che la nozione di «impossibilità di affidamento preadottivo attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti  all’adozione legittimante, e non a quella del contrasto con l’interesse del minore».

Anche questa sentenza del Tribunale dei Minori non si sottrae al sospetto di aver ceduto al desiderio dei riflettori, quello che fa correre ai magistrati il rischio – paventato dal grande Piero Calamandrei – di emulare Erostrato, pastore greco ossessionato dall’ansia di essere ricordato dai posteri, che per diventare celebre e passare alla storia arrivò al punto di incendiare il tempio di Diana Efesia. «Si possono dunque trovare magistrati», si chiedeva retoricamente Calamandrei, «così assetati di fama da essere disposti a far crollare la giurisprudenza sulla testa dei giudicabili, per avere il gusto di vedere pubblicata sulle riviste col loro nome la sentenza sovvertitrice?». Dalla lettura di alcune pronunce parrebbe proprio di sì.

IL PRESIDENTE
(Avv. Gianfranco Amato)

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