ECCO LA SENTENZA CHE INTRODUCE LA PEDOFILIA

di Tommaso Scandroglio

Quello che nei giorni scorsi davamo in forma dubitativa, non avendo il testo della sentenza, ora lo possiamo dire con certezza: la Corte di Cassazione ha aperto la strada per il riconoscimento della pedofilia in Italia. La sentenza, che ora abbiamo in mano e riportiamo in fondo a questo articolo, è purtroppo inequivocabile.

Il caso è quello del 60enne, impiegato nei servizi di assistenza sociale del suo comune, condannato in appello a 5 anni di reclusione perché trovato in atteggiamenti intimi con una bambina di 11 anni a lui affidata. Come noto i giudici di Cassazione hanno parzialmente annullato la sentenza della Corte di Appello. Per capire perché ci soffermiamo sul numero 6 dei “Motivi della sentenza”. La Cassazione vuole che al caso si applichi l’«attenuante del fatto di minore gravità di cui all’art. 609 quater, comma 4». Nello specifico l’attenuante dovrebbe essere ravvisata nel consenso prestato dalla bambina, cioè dal fatto che – come vedremo più in dettaglio tra qualche riga – la piccola non subì coartazione alcuna perché “innamorata”. In sintesi la Cassazione giudicava erroneo che per i magistrati dell’Appello “non rilevava che l’imputato non avesse adottato forme di violenza e coartazione verso la vittima. Erano poi irrilevanti [per la Corte di Appello] il consenso della vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati nell’ambito di una relazione amorosa”.

La corte di Appello invece stabilì che “l’attenuante in questione non poteva essere riconosciuta perché vi era stata congiunzione carnale e perché si trattava di una ragazza minore di anni quattordici, il cui consenso non rilevava”. In altri termini ciò che è importante per i giudici d’Appello e per il Codice Penale ai fini della configurazione dell’ipotesi delittuosa è il fatto in sé, con o senza consenso della vittima. La minore gravità inoltre non si può ravvisare perché appare evidente che se l’imputato si fosse fermato a qualche bacio la situazione – pur sempre aberrante – sarebbe stata oggettivamente di minore gravità rispetto a rapporti completi e pure reiterati nel tempo. Ma così non è stato e dunque non si può configurare un minor grado di gravità del reato.

In merito poi al “consenso” prestato dalla undicenne – consenso che secondo la Cassazione dovrebbe mitigare la pena -  l’art. 609 quater configura l’illecito anche se la vittima è consenziente proprio per evitare attenuanti in casi dove, per l’immaturità del soggetto coinvolto, un valido consenso non si può ipotizzare essendo questi facilmente manipolabile dall’adulto e non in grado comunque di comprendere appieno la portata del gesto intimo che andrà a compiere. Ciò non toglie che se ci fosse stata violenza, la pena sarebbe stata ancor più grave (art. 609 ter comma 1, n. 1). Insomma la Corte di Appello si è limitata ad applicare la legge. Ed invece cosa ti scrivono i giudici di Roma? “L’attenuante è stata quindi esclusa sulla base di elementi in realtà non voluti e non previsti dal legislatore”.

Infatti gli ermellini della Cassazione individuano “ragioni mitigatorie attenuative”. La prima sarebbe che “l’atto sessuale si inseriva nell’ambito di una relazione amorosa; e che […] lo stesso nel caso di specie non poteva ritenersi invasivo allo stesso modo dell’ipotesi in cui avvenga con forza e violenza e al di fuori di una relazione amorosa”. Sul punto ci sono da rilevare almeno due critiche. La prima: come ha detto la Corte di Appello parlare di “amore” tra un sessantenne e una undicenne è “innaturale” e ciò che è insano come fa ad essere un’attenuante? Ai giudici di Roma invece appare cosa normale, tanto da poter attenuare la pena inflitta.

In secondo luogo laddove la Cassazione considera la mancanza di violenza come un motivo di attenuazione della pena, il Codice Penale invece la considera come fattispecie a se stante. Non è una sottigliezza da legulei, ma è un problema di sostanza. La legge ti dice che se tu adulto hai rapporti con una minore di anni 14 che non si ribella a te è molto grave (art. 609 quater). Se invece c’è stata violenza è ancor più grave e la pena è maggiorata (art. 609 ter comma 1, n. 1). Le norme del Codice Penale non parlano di attenuanti laddove non c’è violenza, bensì parlano di atto grave (senza violenza) e ancor più grave (con violenza), distinguendoli in due reati separati. L’attenuante infatti rimanda ad un elemento in sé buono da applicarsi ad un reato, capace di suscitare nei giudici non giustificazione dell’atto ma tuttalpiù comprensione. Chi plaudirebbe il reo perché, sebbene abbia abusato della piccola, non l’ha fatta oggetto di violenza? Ed è proprio per il fatto che la mancanza di violenza nei rapporti con una minore di anni 14 non è considerata un’attenuante che questa fattispecie trova una sua norma ad hoc, per ribadire il suo carattere comunque delittuoso, stante un presunto consenso da parte della vittima.

Se invece seguiamo la logica della sentenza della Cassazione allora dovremmo abrogare l’art. 609 quater perché la stessa sentenza ne vuole sopprimere proprio la sua peculiarità: l’illiceità degli atti sessuali compiuti con minore di anni 14 anche se questo è consenziente. La cifra caratteristica di questo articolo è il fatto in se stesso, cioè l’avere avuto atti intimi con un bambino, nulla rilevando la personale maturità psicologica, gli stati d’animo, il consenso, la mancanza di violenza, etc. Forse che la Cassazione vuole cancellare il reato di pedofilia?

Invece i magistrati capitolini vanno per la loro strada e si appellano a precedenti pronunciamenti dei loro colleghi in Cassazione. Ma andando a leggere gli stralci riportati di queste sentenze, si comprende che il rimando non è pertinente. Infatti i giudici semplicemente tengono a puntualizzare che le attenuanti di minore gravità ex art. 609 quater ultimo comma possono applicarsi anche laddove la vittima è davvero piccola. Ma non scrivono da nessuna parte che un’attenuante da tenere in considerazione è la mancanza della violenza sessuale o una relazione “amorosa” tra vittima e carnefice. “I casi di minore gravità” di cui parla l’art. 609 quater devono essere ravvisati ex art 133 cp in alcuni elementi oggettivi della condotta quali la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione che costituisce reato. Nel caso in esame il reo non si è “limitato” a toccamenti e carezze ma si è spinto ben più oltre e dunque, come abbiamo già visto, queste attenuanti non si possono tenere in conto.

Sempre ex art 133 la gravità del reato deve essere giudicata in base alla “gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato”. E’ di palmare evidenza che una bambina violata nella propria intimità porterà per moltissimi anni nella sua psiche danni gravissimi e forse irreparabili. E’ proprio perché la presunzione è certa che il Parlamento ha novellato la materia con la legge n. 38/2006 sanzionando sempre questi particolari illeciti.

Infine la quantità di pena da comminare deve tenere conto della “intensità del dolo” o del “grado della colpa”. Nel nostro caso il dolo è stato assai “intenso” dato che c’è stata reiterazione dell’atto illecito come rilevato dalla Corte di Appello che ha ravvisato la continuazione di reato ex art. 81 cp. Insomma nessuno dei criteri previsti dall’art. 133 e richiamati dalla stessa Cassazione per mitigare la pena può essere applicato a questo caso.

Ed invece i giudici della Cassazione rinvengono una “minore lesività del fatto in concreto” nei seguenti elementi oggettivi: “la qualità dell’atto compiuto (più che la quantità di violenza fisica)”. Traduciamo: l’ “affetto” tra vittima e reo è un aspetto qualitativo importante da tenere in considerazione per essere equi, più che la mera mancanza di violenza fisica. Peccato che il nostro ordinamento giuridico disapprova anche il solo “affetto” perché lo considera insano - tentando di reprimere anche le sole avances dei pedofili - nonché pericoloso perché può aprire la porta ad azioni più lesive.

Poi la Cassazione trova un’attenuante anche nel “grado di coartazione esercitato sulla vittima”, scordandosi che una undicenne non comprende quasi per nulla quale sia il reale significato dell’atto sessuale e che la sua libertà è minima nelle mani di una persona adulta.

I giudici inoltre fanno riferimento alle “condizioni (fisiche e mentali)” della vittima e alle sue “caratteristiche psicologiche (valutate in relazione all’età)” sempre nell’intento di mitigare la pena. Ma è proprio tenendo in considerazione queste caratteristiche che è stato introdotto il reato di “atti sessuali con minorenne”. Se escludiamo tali aspetti di natura fisiologica e psicologica dobbiamo mandare in soffitta lo stesso reato di “atti sessuali con minorenne”.

Infine si fa menzione, come altro motivo attenuante, all’“entità della compressione della liberà sessuale” e al “danno arrecato alla vittima anche in termini psichici”. Sulla questione del consenso e del danno ci siamo soffermati più sopra ricordando che una undicenne non può esprimere un consenso davvero valido in relazione a rapporti intimi e che i danni ci saranno sicuramente in futuro nella psiche di questa bambina. Ed invece la Cassazione rimbrotta i propri colleghi dell’Appello perché “il turbamento e le conseguenze patite dalla vittima anche in un’ottica futura” sono solo ipotesi non verificate, perché mancherebbe la “prova di aver ancorato il proprio asserto su emergenze specifiche (sì che l’assunto si propone quasi come un’affermazione di principio frutto di mera supposizione)”. Avete compreso bene: un rapporto pedofilo non è di suo dannoso, sempre e comunque. Si deve dare prova contraria per sostenerlo. Ci deve essere inoltre un’emergenza specifica per attivarsi, altrimenti lasciamo correre. Perché il danno – per la Cassazione – se si è verificato, è stato comunque mitigato da fattori quali “il ‘consenso’, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento della ragazza”.

E quindi la Corte rimanda l’incartamento di nuovo in Appello perché quest’ultima non ha spiegato il motivo per cui tutti gli elementi suddetti non configurano una minore gravità dell’atto. E tutto questo in nome del Popolo italiano, cioè a nome nostro.

 

 
 

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